Barilla & me
(postato su it.sport.calcio.roma il 02.07.2002)
Ritorna prepotentemente alla mente lo spirito degli incredibili anni ottanta, nel ricordare i tempi in cui la pasta Barilla era un tutt'uno con la maglia della Roma.
E per chi è nato all'inizio dei settanta, quel periodo concise
con l'inizio di tante cose circa il tifo per la magica, che - per
quanto sia presente in tutti noi in modo innato - prendeva verso i
dieci anni i primi connotati di "consapevolezza": le prime partite
vissute con l'orecchio alla radiolina, i primi pomeriggi della
domenica imbambolati davanti a "novantesimo minuto" con Paolo Valenti
in bianco e nero, aspettando che scorressero le immagini di Tancredi e
Scarnecchia, Turone ed Ancellotti, Romano e Benetti, Santarini e
Maggiora... Falcao, Bruno Conti, e i goal del Bomber.
La finale di coppa Italia del 1979-80, ai rigori contro il Torino, per loro sbagliò
Graziani il tiro decisivo. Il salto dalla sedia di mio padre - eravamo
a cena davanti alla TV in bianco e nero - e il suo schiocco di una mano sull'altra
ad accompagnare l'esclamazione "ha vinto la Roma!" Credo sia la prima partita in assoluto
che io abbia visto in vita mia. E la finale di un anno dopo, sempre
contro il Torino, sempre vinta ai rigori, stavolta a colori sul
televisore dei nonni. Un televisore col telecomando! L'ultimo rigore segnato da Falcao,
la corsa felice del Divino rincorso dai compagni, il suo classico gesto di sferrare un pugno
in aria quando esultava dopo un goal.
E ancora, i primi spiccioli
gelosamente messi da parte per correre in edicola quando usciva
"Giallorossi", allora unica rivista romanista, anch'essa tutta in
bianco e nero tranne i titoli che erano in rosso e la copertina a
colori con le foto della Sud, e già sembrava un lusso per la grafica
dell'epoca. Roma-Colonia, la prima grande emozione in campo europeo,
conservo ancora il Messaggero che annuncia la vittoria targata Iorio e
Falcao, un goal sotto la Sud all'ottantanovesimo. E il 15 maggio del
1983, la città in festa, i colori, gli addobbi per le strade e i
lupetti dipinti sull'asfalto che abbiamo continuato a sognare per
diciott'anni, dopo quel giorno, prima di ritrovarli increduli a
rimaterializzarsi davanti ai nostri occhi, nel giugno del 2001, come venuti
direttamente dal passato.
Il marchio Barilla faceva parte di tutto questo come le bandierine del
calcio d'angolo fanno parte del campo: una presenza discreta, magari
neanche la noti più, ma sai che c'è, è strutturalmente parte
integrante di quello che stai guardando e vivendo.
Ve la ricordate l'offerta del dopo-scudetto? Con una confezione speciale di 5 kg di pasta (1 kg di spaghetti, 1 kg
di maccheroni, ecc.) ti regalavano la maglia della magica col numero
5, quello di Falcao.
La pubblicità che reclamizzava questa offerta, sui cartelloni per
strada e sulle riviste, presentava una foto del divino con un piatto
di spaghetti fumanti in mano, e la scritta "Obrigado, Barilla!"
Mi ricordo come fosse ieri il giorno in cui quei 5 kg di pasta
andarono a riempire gli scaffali della credenza in cucina, e la maglia
di Paulo Roberto prendeva posto indosso ad un tredicenne che aveva da
poco celebrato il suo esordio sugli spalti dell'Olimpico, proprio
nell'anno del secondo scudetto.
Maglietta che dopo non molto tempo smise di entrarmi, giacché quella è
un'età in cui si cresce in fretta, e rimane tuttora custodita nel
cassetto delle cose importanti, insieme al drappo giallorosso con la
firma del Presidente. Ricordo bene il suo sorriso, in quel giorno al
ritiro estivo di Vipiteno, quando alla mia timida richiesta di una
dedica con autografo rispose allegramente "anche il mio nipotino, si
chiama Filippo!" e prese a raccontare ai presenti di quanto si
emozionasse quando quel pargoletto lo chiamava "nonno, nonno!" E poi,
prendendo in mano il pennarello per firmare la bandiera, si
raccomandava "tienila tirata, mentre scrivo!" Era un altro calcio. Era
Dino Viola.
Non ho più comprato nessuna maglia della Roma, dopo quella avuta a
tredici anni con la pasta Barilla. Le maglie con uno sponsor diverso
non erano più quelle della mia prima Roma.
Solo dopo diciotto anni, ho ceduto.
Mi è sembrato un po' di tradire quei ricordi, a mettermi una maglia
con la scritta INA... ma per il terzo scudetto era giusto superare
anche questa. Perché il 17 giugno 2001 è stata come un'appendice degli
anni ottanta, un magico giorno fuori dal tempo, in cui forse mi sarebbe
rientrata a pennello anche quella maglietta col numero cinque.
Obrigado, Barilla!
Fil, luglio 2002
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