La conferenza stampa d'addio raccontata su "Il Romanista" del 25.07.2006:
LA CONFERENZA-STAMPA D'ADDIO DEL CENTROCAMPISTA CAMPIONE D'ITALIA 2000-2001
«Da tempo non avevo più voglia di stare qui»
«Qualcuno non aveva creduto al mio pieno recupero e ultimamente c'era la corsa a salvare la mia immagine, non il rapporto con me. Non so ancora dove andrò: all'estero o a Verona»
«Andare a Trigoria mi pesava, io devo sentire motivazioni per allenarmi»
«Se è andato via Aldair figuratevi se non posso farlo io. La Roma può vincere»
«Sono fiero di essere il giocatore che in assoluto ha giocato più partite con Totti»
di Daniele Lo Monaco
Le ultime due conferenze-stampa di saluto di bandiere della Roma che negli ultimi anni hanno detto le loro ultime parole da romanisti lontani da Trigoria sono andate entrambe in scena all'Eur, quindi non troppo distanti, ma abbastanza per rimarcare lo strappo. Scelse l'Hotel Sheraton Franco Baldini il 25 marzo 2005, ha chiesto invece la solenne Sala Quaroni dell'Ente Eur Damiano Tommasi ieri. Diversi i punti di contatto nelle due cerimonie: intanto la mancanza di un'immediata alternativa a stordire ogni malevola interpretazione riguardo i motivi dell'addio e poi l'estremo attaccamento alla Roma dei due personaggi che se ne andavano, che romani non sono eppure alla nostra città sembravano pervicacemente legati. Chissà se è solo un caso che i due siano anche legati da una solida amicizia. E come nel caso di Baldini, anche la conferenza di Tommasi è stata condotta su toni comunque dimessi, pur senza lesinare battute, stilettate e amare verità. Poche, però, le certezze assolute: di sicuro Damiano se ne va perché «andare a Trigoria era diventato un peso», perché «era amareggiato perché non tutti avevano creduto nel mio pieno recupero», perché «qualcuno non sarà dispiaciuto» e perchè «negli ultimi tempi c'era stata una rincora a salvaguardare la mia immagine e non a recuperare davvero il rapporto». Dove andrà, se a Valencia con il Levante, o magari in Turchia non lo sa ancora, per il piacere del procuratore e, supponiamo, della sua splendida famiglia, composta da moglie, tre figlie e un quarto in arrivo: «Volevo concentrarmi prima su questa conferenza-stampa, da domani ci penserò. La cosa importante per me era salutare con l'attenzione che meritava i tifosi e gli abitanti dell'Eur, il mio quartiere per dieci anni. Per questo sono venuto qui per questo saluto, in questo palazzo. Anzi, ringrazio il padrone di casa, Mauro Miccio».
Accanto a Damiano Andrea Pretti, un fratello più grande più che un procuratore, un fido consigliere, «la persona che ha la mia totale fiducia». Stavolta Pretti ha potuto poco: «La mia opinione stavolta non è contata. Per me era più giusto restare accettando le offerte della Roma. Ma dall'atteggiamento di Damiano ho capito che stavolta non avrei avuto neanche un varco nel quale inserirmi». Ed eccola, dunque, la spiegazione fornita finalmente direttamente da lui, dal giocatore più anomalo della storia recente del calcio e non solo per l'assenza di tatuaggi sugli avambracci: «Non è semplice per me trovare le parole per farvi capire che cosa vuole dire per me essere qui e apprestarmi a salutare Roma dopo dieci anni di vita. La decisione in realtà non è di queste ore, ma di diverso tempo fa, quando mi sono accorto che le premesse per lavorare bene dal mio punto di vista cominciavano a balbettare. Mi sono accorto che andare a Trigoria era diventato improvvisamente pesante, avevo perso voglia, entusiasmo, motivazioni. E l'obiettivo del mio lavoro è avere le motivazioni per allenarmi, non per giocare la domenica. Questo è un momento difficile, bisogna viverlo serenamente. Mi attira un'esperienza all'estero per l'arricchimento che mi potrebbe garantire, ma le mie bambine per ora sono iscritte a scuola a Roma. Non andrei da nessun'altra parte in Italia, invece, tranne che a Verona, ovviamente. Giocare a casa mia sarebbe l'unico posto dove potrei avere più motivazioni di quante ne abbia avute in questi anni a Roma».
Partono le domande e com'è naturale indagano in tutte le direzioni possibili: «Da quando mi sono fatto male ho visto le cose e lo spogliatoio in maniera diversa. E da quel differente punto di vista mi sono accorto che alcune cose non mi piacevano più, alcuni rapporti umani si sono incrinati, e negli ultimi tre mesi ero diventato una presenza ingombrante soprattutto per me stesso. Mi riferisco soprattutto all'ultimo periodo. L'anno prima, invece, lo spogliatoio aveva avuto grossi problemi ma non era questo il motivo per cui un calciatore può decidere di andar via. Infatti grazie a Spalletti poi avevo capito che si poteva riprendere a lavorare bene e i risultati che abbiamo ottenuto stanno lì a testimoniarlo». Nessuno potrebbe riuscire a fargli cambiare idea: «Sono convinto che rimanere sarebbe la scelta migliore sotto il profilo pratico, ma il mio lavoro è rendersi parte attiva per la riuscita di un progetto, non è solo andare a Trigoria e tornare a casa. E da questo punto di vista sento che è cambiato qualcosa. Per cui non posso restare. La Roma del resto è nata senza di me e può andare avanti benissimo senza di me. Se è andato via Aldair figuratevi se non posso andar via io. Lo scandalo? Non c'entra niente, anzi, adesso può solo migliorare».
Non è facile capire che cosa gli resta dentro: «I rapporti con tante persone che adesso fanno parte della mia vita, e mi riferisco solo per parlare del passato a Zeman, Di Francesco, Tomic, Lupatelli, Mangone, Delvecchio e tanti altri e poi il fatto di essere tornato a giocare a calcio e di aver vissuto soddisfazioni come quella del mio gol nel giorno del ritorno in campo da titolare, sotto gli occhi di mia moglie: se uno sceneggiatore avesse pensato di scrivere questo film non sarebbe venuto così bene». Tra tanti amici non c'è Totti? «Ho nominato solo quelli più vecchi, per non far torto a nessuno. Penso di essere il giocatore che in assoluto ha giocato più partite al fianco di Francesco, è una cosa di cui andrò fiero anche con i nipotini». Rosella Sensi le ha dedicato un comunicato: «Mi fa piacere, ora sembra che tutti mi vogliono. Ma io so che non è così. La Roma ha comunque un grande futuro, sia per i ragazzi che si stanno mettendo in evidenza sia perché il lavoro fatto sin dal ritiro di un anno fa darà grandi risultati». E lui non ci sarà. «Non è facile. Ma grazie a tutti. Mi porterò con me tante emozioni, dovunque andrò».
I RETROSCENA ALLA BASE DEL DIVORZIO
«Quei silenzi che Damiano voleva riempire»
di Daniele Lo Monaco
Al di là di quel (poco) che Damiano Tommasi ha rivelato in conferenza-stampa - anche perché il suo codice di correttezza gli ha imposto di non far ricadere l'attenzione su un solo obiettivo su cui poi si sarebbero concentrate le attenzioni dei media - si può sostenere con buona approssimazione che i motivi per cui ha lasciato la Roma in una maniera che non rende giustizia a ciò che questo gioiello di uomo e di calciatore ha dato sono essenzialmente legate alla scarsa fiducia nei suoi riguardi che hanno avuto i medici e i dirigenti durante la lunga fase della rieducazione e nella fase finale dello scorso campionato.
Tutto nasce, come ha detto Damiano in conferenza, in seguito al suo terribile infortunio, 22 luglio 2004. Anche se le prime incomprensioni con la Roma si possono far risalire ad un anno prima, grosso modo tra maggio e giugno del 2003. In quel periodo, infatti, l'amico-procuratore-consigliere Andrea Pretti accettò, su preciso impulso del giocatore, la proposta della società di spalmare il vecchio contratto (con scadenza 2005) con un altro più lungo di due anni, ad una cifra annuale inferiore. Ma dopo l'accordo non se ne fece più nulla e da quel giorno Andrea Pretti non ha mai avuto più un confronto che parlasse di rinnovo. L'anno dopo il ginocchio di Tommasi esplose in un contrasto con il rude difensore dello Stoke City, Taggart. E cominciò il lungo periodo della rieducazione, durante il quale Tommasi non ha mai sentito il reale conforto dello staff medico, soprattutto a livello psicologico. E anche questo aspetto ha avuto il suo peso nelle considerazioni che poi spinsero Damiano a non rinnovare subito il contratto con la Roma un anno fa, dopo la scadenza naturale dell'altro. Il 16 giugno 2005 si incontrò con la società, ascoltò le proposte di Pradè, ma non prese una decisione. Decisivo fu invece l'incontro con Spalletti e l'opera di convincimento e poi i fatti. Non per caso, il rapporto tra Tommasi e l'allenatore è solidissimo e forse non è solo un caso che quando non era stato ancora dato l'ultimo ok da pare del professor Mariani. E raccontano i testimoni che Spalletti s'è arrabbiato moltissimo, anche con Pretti, quando ha saputo della decisione definitiva di Tommasi quando ormai non avrebbe più potuto far niente. E' vero che Damiano l'aveva avvertito il 15 maggio scorso, il giorno dopo la fine del campionato, ma è anche vero che come accadde l'anno scorso poi confidava in un successivo colloquio per dissuaderlo.
Esclusi dunque dissidi con l'allenatore e con i compagni di squadra, che sono rimasti malissimo per la scelta di Damiano, e confermate invece le incomprensioni con lo staff medico, restano da chiarire i rapporti con la società. Che formalmente sono buoni, ma a ben vedere mostrano una certa fragilità. Perché è vero che è stato Damiano a chiedere di voler affrontare l'eventuale rinnovo di contratto solo a fine stagione, ma è anche vero che una società che vuole cautelarsi intanto può prendere accordi col procuratore, può fare offerte concrete, può, al limite, riconoscere un premio fedeltà a un giocatore che per un anno intero ha giocato al minimo federale. Invece, come ha detto Tommasi, «negli ultimi mesi mi è sembrato che ci fosse una corsa a salvaguardare l'immagine che io rappresentavo, non a conservare il rapporto». In fondo sarebbe potuto bastare una telefonata dell'amministratore delegato. Ma Pretti e Tommasi l'hanno attesa invano. Come invano è stato il tardivo prodigarsi di Conti e Pradè. Nessuno si fece vivo della società dopo la firma, a settembre, quando Damiano aveva firmato il rinnovo e attese vanamente una conferenza-stampa di (ri)presentazione. Certe silenzi non smettono di urlare.
LE COLPE DELLA ROMA
Quando non basta uno come Bruno Conti
di Daniele Lo Monaco
Non può essere mai un problema per nessuna società se un giocatore decide di non rinnovare un contratto e sceglie di andar via. Ma la Roma deve obbligarsi ad una riflessione, dopo l'addio di Tommasi. Perché c'è la netta sensazione, in questo caso, che ciò che è mancato a Damiano tanto da spingerlo a scegliere un futuro pieno di punti interrogativi piuttosto che la certezza di un altro paio di comode stagioni a Roma sia stato soprattutto un po' di conforto umano e psicologico. E Roma, in passato, aveva spesso saputo rimuovere proprio con le leve del sentimento i "massi" derivanti da carenze di struttura che ne appesantivano l'appeal rispetto magari alle consorelle del nord. L'impulso gestionale dato dall'amministratore delegato Rosella Sensi ha fatto segnare molti punti di crescita sotto l'aspetto puramente professionale, ma ha lasciato alla delega del solo Bruno Conti la gestione degli aspetti emozionali. Il resto, per i successi dello scorso anno, è stato fatto da Spalletti, un altro che meriterebbe totale e incondizionato appoggio per quello che ha saputo dare e per la pazienza che ha mostrato in attesa dell'arrivo di qualche rinforzo reale.
Per quel che si può notare dall'esterno, però, restano ancora carenti alcuni aspetti di "accompagnamento" nella gestione che poi fanno la differenza tra una grande società e una società che si crede grande. Per tornare alla vicenda Tommasi, è curioso constatare come quando c'è un infortunio grave ad un giocatore della Roma dopo un po' spuntano le voci che rimandano ai conteggi dei premi di risarcimento delle assicurazioni, più che le carezze al giocatore infortunato e magari ad una promessa di rinnovo incondizionato del contratto. E' avvenuto con Damiano - e oggi si capisce quanto abbiamo inciso nel morale del giocatore certe voci - è accaduto anche con Montella, pur con le rilevanti diversità delle rispettive situazioni contrattuali. E sono sempre più numerosi i procuratori, per dirne un'altra, che lamentano la difficoltà di rapporti amichevoli con gli agguerriti dirigenti di Trigoria, soprattutto quando si tratta di discutere parcelle e provvigioni. E questo non accade solo con agenti considerati magari non propriamente amici, ma anche con galantuomini come Pretti: e rappresentano giocatori della Roma. Non stiamo parlando di problemi gravi, per fortuna. Ma sono aspetti che, nel momento dell'adozione di un codice etico che ha trovato il pieno appoggio di tifosi ed osservatori esterni, la Roma dovrebbe tornare a considerare.
CORO UNANIME DAI TIFOSI ECCELLENTI
«Va rimpianto soprattutto il calciatore»
Venditti: «L'ultima la stagione più bella»
Grassetti: «Quell'esultanza a Bergamo»
di Tiziano Riccardi
Cedi Bovo e ti dispiace perché è una giovane promessa. Va via Dacourt e ci rimani male perché i giocatori di rendimento e d'esperienza si dovrebbero tenere. Kharja torna alla Ternana (e poi forse ritorna) ma non ti strappi i capelli. Però se a lasciare la Roma è Damiano Tommasi non è la stessa cosa, ti fermi a riflettere. Perché a Roma ci ha passato dieci anni. Perché a Roma ci ha vinto uno scudetto da protagonista assoluto. Perché dopo un infortunio accetta di prendere 1500 euro al mese, cifra irrisoria per una calciatore. Non va via uno qualsiasi, insomma.
E se va via uno così si fanno tante considerazioni. Antonello Venditti apprezza prima di tutto il calciatore e poi l'uomo che ha fatto della beneficenza una ragione di vita «perché non sono stati tutti fortunati come me»: «Sono molto rammaricato - dice Venditti - per l'addio di Damiano. Prima che essere una persona immensa, è un calciatore fondamentale. Nell'ultimo anno secondo me ha disputato uno dei suoi migliori campionati. Speravo che la ferita con la Roma si rimarginasse, purtroppo non è stato così». La vede così anche Michele Giammarioli, giornalista Rai: «Quella di Tommasi è una cessione gravissima. Era una figura importante dello spogliatoio. A mio avviso la società in questa occasione si è fatta un autogoal. Speriamo sia l'ultimo». E' un errore della dirigenza anche per Elio, leader del gruppo XXI aprile: «Io l'avrei confermato. Non so quanto abbia chiesto come ingaggio, ma uno così nel gruppo serve. Dal punto di vista tecnico Tommasi era quello visto nell'ultimo anno: un giocatore da un tempo. Spero ora la società, che ha latito in questa occasione, corra ai ripari comprando un sostituto all'altezza».
Chiede rinforzi a gran voce anche Francesco Lotito, presidente dell'Airc (Associazione Italiana Roma Club): «Con Tommasi e Di Francesco si rinuncia a due figure fondamentali. Spalletti secondo me dovrebbe essere messo nelle migliori condizioni di lavorare. Ora aspettiamo i giusti rinforzi per affrontare questa stagione che è un'occasione irripetibile per competere». Da uno storico tifoso ad un altro: Guido Zappavigna: «Non nascondo di aver criticato Tommasi dopo il famoso comunicato della Supercoppa Italiana. Ma ora dico che la società ha sbagliato, come spesso accade ultimamente. Sicuramente è una perdita più per lo spogliatoio che per la squadra, ma lui era fondamentale perché dava la carica quando serviva». Fabrizio Grassetti, presidente dell'Utr (Unione Tifosi Romanisti), ha in mente tre istantanee che legano Tommasi alla Roma: «Mi viene in mente subito la sua esultanza nell'anno dello scudetto dopo un gol contro l'Atalanta a Bergamo. Poi quando ad una festa organizzata in suo onore si presentò con la moglie, i figli ed un gruppo di persone down che presento come "la sua famiglia" e con i detenuti a Rebibbia quando dimostrò un'umanità indescrivibile. Non dico altro, solo auguri».
Auguri Damiano.
IL COMUNICATO UFFICIALE DELLA SOCIETA'
Rosella Sensi: «Gli diciamo arrivederci»
Il saluto in extremis dell'Ad: «Ha scritto una pagina significativa della nostra storia»
E alla fine la società ha salutato Damiano Tommasi. Dopo giorni di silenzio imbarazzato, un comunicato ufficiale è comparso sul sito ufficiale www.asroma.it poche ore prima della conferenza stampa del giocatore. «Arrivederci Damiano», il titolo emblematico che lascia aperta la porta della Roma ad un ritorno del giocatore, magari nei panni di dirigente. Poi le parole dell'amministratore delegato Rosella Sensi: «Nella storia della Roma esiste una pagina significativa scritta da Damiano Tommasi, uno dei Campioni d'Italia giallorossi, uomo ed atleta scelto ad esempio per identificare un modello di comportamento. La Roma è legata a questo calciatore e lo sarà anche in futuro. Per Damiano la Roma ci sarà sempre».
E ancora: «La Roma e Damiano hanno conosciuto momenti bellissimi e sono i valori interpretati da questo calciatore che dovranno essere coltivati nel presente e nel futuro, soprattutto nell'insegnamento ai giovani. Arrivederci Damiano».
Nessuna replica, dopo la polemica conferenza stampa dell'Eur: nè dalla Sensi, né dal direttore tecnico Bruno Conti e dal direttore sportivo Daniele Pradé che fino all'ultimo hanno sperato in un ripensamento del giocatore. Inutili i contatti degli ultimi giorni con il manager Andrea Pretti, inutili i tanti tentativi di stabilire un contatto telefonico diretto con l'interessato: dal giorno del funerale della mamma di Tommasi, Damiano per i dirigenti della Roma è stato sempre irraggiungibile. E proprio la speranza di convincerlo a tornare sui suoi passi è la spiegazione ufficiale data dalla società alla scelta di non dare la notizia dell'addio di Tommasi fino a ieri. Ma quel ripensamento non c'è stato: del resto qualche giorno fa a Castelrotto Spalletti diceva: «Tommasi lo conosco bene, e mi sembra difficile che torni indietro, anche se ho la sensazione che la decisione gli sia partita troppo velocemente, e mi dispiace, perché con persone come lui è tutto più facile».
(la prima foto è di Riccardo De Luca, le altre sono di Mancini e sono tratte da "Il Romanista" del 25.07.2006)
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