DAMIANO TOMMASI: «E’ una Roma di uomini veri»

LA CONFERENZA STAMPA A TRIGORIA DEL CENTROCAMPISTA GIALLOROSSO

(da "Il Romanista" del 03.11.2005)

Cosa hai pensato domenica quando il Mister ti ha detto di entrare in campo?
(Gianluca Ricci, Radio Spazio Aperto)

«L’emozione l’ho vissuta prima, quando sono stato convocato o quando mi era stato chiesto di scaldarmi in precedenza, domenica non ho avuto neanche il tempo di emozionarmi, c’era da essere concentrati sulla partita».

Il Professor Mariani ha detto che l’unica persona, durante la convalescenza, che ha visto sempre tranquilla sei stato tu. Non c’è stato mai un momento difficile?
(Gianluca Ricci, Radio Spazio Aperto)

«Quando avevo qualche difficoltà il pensiero andava ai bei ricordi, ero consapevole che tutto sarebbe finito, sono sempre stato ottimista. Se mi dicono che il ginocchio era a posto non posso non crederci. Io cerco di fare quello che è nelle mie possibilità».

Ti senti pronto a giocare una partita da titolare?
(Gianluca Ricci, Radio Spazio Aperto)

«Quando vai in panchina vuol dire che sei pronto per tutto, poi si può far molto anche in 2’ di partita o anche senza mai entrare. Credo che la forza di un gruppo sia capire che tutti sono utili e nessuno indispensabile. Se si riesce a capire questo i cambi verranno presi in modo positivo. E’ il mister che decide».

Domenica potrebbe esserci un’occasione importante visto che De Rossi è squalificato. Ti candidi per una maglia da titolare?
(Alessandro Austini, Radio Incontro)

«Non mi è mai piaciuto fare le formazioni, lasciamolo fare al mister. Lavoriamo pensando che abbiamo fatto bene e che abbiamo intrapreso una strada che non dobbiamo dimenticare anche a Messina».

Visto che tu sei un consigliere dell’Aic, a livello generale è giusto non far giocare un giocatore che non rinnova con una società e se questa Roma può permettersi di fare questo tipo di discorso con Cassano.
(Alessandro Austini, Radio Incontro)

«Entriamo in un discorso delicato, per commentare bisogna conoscere la vicenda in tutte le sue evoluzioni. La vicenda Cassano con la Roma non nasce da oggi, ma parte da molto lontano e chi la sta gestendo è il più indicato a dare dei giudizi e dei commenti. Comunque non si sta facendo nulla di irregolare, Antonio si sta allenando con noi, questo è un dato di fatto. E’ anche difficile comunicare all’esterno tutto quanto accade, tutti gli accordi che hanno tra di loro, chi sta all’esterno non può sapere tutto».

Come hai trovato il gruppo rispetto alla passata stagione?
(Arianna Ciacci, Centro Suono Sport)

«L’ anno scorso abbiamo perso il filo subito, ci è mancato un elemento conduttore cui fare riferimento nei momenti più difficili, ora c’è una situazione più stabile, discorsi che vanno avanti dall’inizio del ritiro. Anche gestire i momenti facili e difficili è più semplice perché c’è più continuità e si riesce a crescere».

Come vedi il gruppo nei confronti di Cassano?
(Arianna Ciacci, Centro Suono Sport)

«Credo che la vicenda Cassano sia come quella di Nakata l’anno dello scudetto quando facevate sempre queste domande. Dal di fuori sembra così. L’ho già detto, Antonio si sta alleando con noi, non vedo l’eccezionalità del caso. Io ho trovato il gruppo come l’ho trovato l’anno scorso con la differenza che adesso c’è continuità, cosa che l’anno scorso ci è mancata fino all’arrivo di Delneri che è rimasto più a lungo».

Si può dire che Spalletti è un po’ il valore aggiunto di questa stagione?
(Arianna Ciacci, Centro Suono Sport)

«Rispetto all’anno scorso il fatto che Spalletti ci sia dall’inizio e stia portando avanti le sue idee ci fa superare le difficoltà, capire che una soluzione c’è e che si può cambiar rotta».

Cosa può dare Tommasi alla causa della Roma?
(Arianna Ciacci, Centro Suono Sport)

«Non lo so neanche io. Spero di fare meno danni possibili, di farmi trovare pronto ed essere all’altezza di quelli che ci sono e che stanno facendo molto bene. Io farò del mio meglio».

Ci puoi raccontare come è andata la storia del tuo contratto, e se c’è qualche retroscena?
(Daniele Lo Monaco, Il Romanista)

«Non ho mai voluto parlare con piacere delle sostanze dei contratti. L’oggetto del contratto deve interessare solo alle due parti».

Questa però è una particolarità di cui ne ha parlato tutto il mondo.
(Daniele Lo Monaco, Il Romanista)

«Il commento è che quando uno fa una scelta valuta i pro e i contro io ho voluto fare questa scelta per essere solo in futuro si saprà se il mio contratto era adeguato o meno, l’incognita su di me c’era e c’è ancora, ho voluto togliere quella componente di rischio ad altri per fare una scommessa da solo».

Ti sei sentito diverso nel modo di giocare l’altro giorno rispetto a prima?
(Daniele Lo Monaco, Il Romanista)

«Già mi ero trovato un po’ spiazzato quando a Livorno sono andato in panchina perché era da tanto che non vedevo una partita da quella all’altezza. Non riuscivo a capire neanche come come si svolgeva il gioco e domenica l’unica differenza era che ho guardato la panchina dopo 15 minuti che ero in campo mentre dalla panchina sono convinto che i suggerimenti sono fondamentali per il gioco ma quando ero in campo mi sono reso conto che io stesso non mi ero rivolto alla panchina per sentire indicazioni».

Puoi spiegare meglio il senso di quello che hai detto a caldo dopo la partita, e cioè che affondavi i contrasti come non ti capitava di fare prima, perché ti sei fatto male per esserti fermato?
(Daniele Lo Monaco, Il Romanista)

«I contrasti li ho affondati sempre e non solo domenica, se prima in qualche occasione cercavo di rallentare la corsa adesso difficilmente mi capita perché l’ultima volta che l’ho fatto ho avuto la peggio. Anche in allenamento se vado in contrsto lo faccio come in partita. La paura di mettere il piede non ce l’ho, cosa che magari sarebbe potuto capire se a farmi male sarebbe stato un intervento fatto da me».

Tu sei sempre stato un ragazzo molto attento al sociale, cosa ne pensi di questi grossi contrasti tra integralismi religiosi?

«Credo che l’altro sia per noi una ricchezza; è difficile parlare di scontro di civiltà quando magari sono delle minoranze che sono più integraliste. La maggior parte delle persone condivide l’idea che l’altro è una ricchezza».

Sul tuo sito internet avevi scritto: “Mi sento come un cinese che aspetta sulla riva del fiume”, che volevi dire?
(Francesca Ferrazza, La Repubblica)

«Il cinese aspetta le difficoltà con l’attesa, con la convinzione che il tempo gli dia ragione, agitarsi contro le ingiustizie peggiora le cose se non sei sereno. Avevo voglia di entrare in campo e la mia sensazione era appunto quella del cinese che pensa che sia solo il tempo a dargli ragione quando l’istinto faceva pensare a reazioni diverse. Vedevo una limitazione del mio entusiasmo e della mia voglia di essere protagonista nel mio lavoro, ma ora sono pronto».

In quel momento vedevi ostracismo nei tuoi confronti?
(Francesca Ferrazza, La Repubblica)

«No, vedevo una limitazione di quello che era il mio entusiasmo, la mia voglia di essere protagonista nel mio lavoro. La mia convinzione era che ce l’avrei fatta, sono sempre stato ottimista».

Si è molto parlato della lettera non firmata che è apparsa sul sito internet. Ritieni che ci sia qualcosa di giusto e che in qualche modo sia servita anche a voi?
(Francesca Ferrazza, La Repubblica)

«Credo che un vostro collega ha fatto questa uscita e credo che bisogna chiedere a lui chi era e il perché ha fatto questa uscita. Quello mi sembrava un punto di vista molto personale visto che si parlava di voler andare via o di non andar d’accordo con alcuni compagni. Il fatto che non sia stata commentata può dare l’idea che sia una cosa che non è andata come è stata raccontata e quindi che sia stata una chiacchierata tra giornalista e giocatore. Comunque le frasi non hanno turbato minimamente il nostro spogliatoio. Ci sono giocatori che nei momenti di difficoltà hanno come prima reazione il desiderio di cambiare aria, non è la prima volta e non sarà neanche l’ultima. Sempre che sia accaduto. Credo che sia anche naturale che un giocatore se non trova la sua collocazione e il suo ambiente ideale si inizi a gurdare in giro».

Dal punto di vista etico, che messaggio dà ai bambini il fatto che un giocatore che rifiuta tre milioni di euro all’anno?

«E’ grave che si dica al bambino di guardare il calciatore come esempio di vita. Credo che un bambino abbia due genitori, un insegnante e tante altre persone che sono vicine e che possono comunicare qualcosa di più di quello che viene scritto sul giornale. Poi non mi piace parlare dei contratti. Quello che deve interessare all’esterno è la durata di un contratto, non la cifra. Poi anche io sono nella situazione di Cassano perché sono in scadenza di contratto, però nessuno ne crea un caso».

Si è parlato di cifre assicurative durante la tua riabilitazione. E’ vero che la scorsa stagione eri stato convocato in Coppa Italia per la partita contro l’Inter perché era un discorso che riguardava l’assicurazione?
(Alessandro Catapano, La Gazzetta dello Sport)

«La mia convocazione e presenza in panchina sarebbe stata un premio ma non avrei dato nessun contributo alla partita e ai miei compagni, poi non se n’è fatto niente. Convocazioni ufficiali non ci sono mai state, se ne è solo parlato con Bruno Conti . Domenica invece ha avuto un’altra forma il mio ingresso in campo in una partita ancora in bilico».

L’anno scorso hai detto che se la Roma avesse vinto qualcosa sarebbe passato un messaggio devastante perché senza la cultura del lavoro non si vince di solito. Cosa è cambiato adesso?
(Alessandro Catapano, La Gazzetta dello Sport)

«Gli uomini che sono entrati quest’anno hanno cambiato le cose, e parlo di Spalletti e di Di Francesco, penso che qualcosa di diverso ci possa essere dal punto di vista del lavoro. Sono queste le premesse per costruire qualcosa che abbia un senso duraturo».

Anche l’Airc è intervenuto su Cassano
(Alessandro Angeloni, Il Messaggero)

«Ne abbiamo parlato a margine del consiglio ma non nel caso specifico. Ma credo che non si sia verificata nessuna di questa ipotesi di fare ricorsi a diritti del lavoratore. Cassano si sta allenando con noi, questo è un dato di fatto, anche con l’avvocato Campana abbiamo convenuto che è difficile dare un giudizio preciso sulla cosa. E’ difficile per una società comunicare all’esterno tutto quanto accade, tutti gli accordi che hanno tra di loro, chi sta all’esterno non può sapere tutto».

Questa Roma dove può arrivare?
(Daniele Lo Monaco, Il Romanista)

«Credo che la squadra ha margine di crescita grandissimi, si lavora bene e si lavoro sulla base sia delle cose positive che su quelle negative. I risultati sono da commentare alla fine».

Nel momento che non eri sotto contratto, ti eri immaginato con una altra maglia?
(Paolo Ciarravano, Leggo)

«Sì. Quest’estate non ero convinto. Ci ho pensato bene prima di tornare, quindi valutavo anche l’idea di non essere qui. La squadra più vicina era Verona. Prima le scelte erano dettate dall’ambizione ora la scelta è dovuta a motivazioni che sone legate all’affetto che ho per questa maglia e per questi colori, di giocare e di ripropormi a livelli professionali come prima, di riconfermarmi come giocatore, ho voglia di dare del mio».

Sogni un gol con la Roma?
(Paolo Ciarravano, Leggo)

«Per me allenarmi con la squadra e fare quello che fanno loro è già un traguardo. Il mio lavoro non è fare gol, ma farmi trovare pronto e dare continuità»







Una domenica speciale
completata dal gol del fratello Samuele


di Pasquale Salvione (da "Il Romanista" del 03.11.2005)

La domenica dei Tommasi. Perché domenica scorsa non solo Damiano è tornato in campo dopo 15 mesi d’inferno indossando anche la fascia di capitano della Roma, ma suo fratello Samuele, 20 anni, ha deciso una partita del campionato di Prima Categoria veneta mettendo a segno un bellissimo gol di testa. Samuele è uno dei Falchi della Lessinia, gioca nel Sant’Anna di Alfaedo, la squadra del paesino dove la famiglia Tommasi abita. Un piccolo centro sui Monti Lessini, che costituiscono il gruppo delle Prealpi più avanzato verso la pianura padano-veneta. Dista una trentina di chilometri da Verona, che può essere raggiunta scendendo attraverso la Valpolicella o la Valpantena.
A Sant’Anna di Alfaedo, per la precisione a Vaggimal, la famiglia Tommasi vive per lo sport. I genitori Domenico e Antonietta hanno cinque figli, quattro maschi (Alfonso, Zaccaria, Damiano e Samuele) tutti legati al mondo del calcio e una femmina (Anita). Ma non solo pallone: c’è molto interesse anche per il tamburello, l’attività agonistica di papà Domenico, per lo sci di fondo e per la pallavolo, che ha appassionato sia Damiano che Anita. Il calcio però è lo sport preferito, visto che affascina tutti i maschi di casa. Il più piccolo Samuele, che è tornato a giocare nella squadra del suo paese dopo un’esperienza nelle giovanili del Chievo, è un centrocampista offensivo che può giocare anche in ruoli più avanzati. Ha una grande capacità di inserimento e si fa spesso vivo anche in zona gol come è successo nella partita di domenica scorsa contro il Benaco. Poi ci sono Alfonso, 34 anni, e Zaccaria, 32 anni. Il primo è stato a lungo allenatore- giocatore sempre del Sant’Anna, mentre il secondo gioca in Eccellenza con la Virtus Vecomp, ma in passato ha calcato anche i campi di serie D con la maglia dell’Arzignano. I loro ruoli? Non si sbaglia, entrambi centrocampisti.
Una famiglia per lo sport, con Damiano che si è sempre distinto per il suo impegno nel sociale: come quando ha scelto di fare l’obiettore di coscienza per non prendere il fucile in mano, preferendo lavorare a RadioTelepace. Adesso sogna di chiudere la carriera di calciatore all’- Hellas Verona, la sua squadra del cuore in cui ha cominciato a giocare a livello professionistico nel 1990 partendo dagli Allievi Nazionali. Quando chiuderà con il calcio, invece, vuole tornare alla sua vecchia passione: il tamburello, uno sport molto diffuso nelle vallate veronesi che è stato praticato a livello agonistico da molti suoi parenti. Si gioca con tamburelli tipo quelli da spiaggia, in un campo cinque volte più grande di quello di tennis con squadre di sei giocatori. La formazione dei Tommasi è quasi completa. Capitano papà Domenico, in campo i quattro figli Alfonso, Zaccaria, Damiano e Samuele. La famiglia Tommasi, una vita per lo sport.




La storia a lieto fine di un giocatore fuori dagli schemi

Tommasi: il miglior acquisto del calcio italiano

di Gaetano Vallini (da "L'Osservatore Romano" del 31.10.2005)

Può una sola «piccola» notizia valere più dei risultati di una domenica di calcio? Noi pensiamo di sì, se la notizia è il rientro in campo di Damiano Tommasi, centrocampista della Roma, dopo 15 mesi di stop per un gravissimo infortunio al ginocchio sinistro. L'ultima sua presenza in serie A risaliva al 16 maggio 2004. Poi, dopo le vacanze, la sciagurata partita «amichevole» precampionato in Austria con una formazione di terza serie scozzese, il contrasto tremendo, il ginocchio che va in pezzi, la paura che tutto sia finito.
Invece la tenacia, la pazienza di questo atleta dal carattere forte hanno reso possibile lo straordinario recupero. Damiano l'anno scorso si è allenato con la squadra, poi, a contratto scaduto (dopo 9 anni in giallorosso), si è preparato da solo, per essere pronto a tornare in campo, per dimostrare di essere ancora un giocatore di calcio, lo stesso che contribuì non poco al terzo scudetto della Roma, meritandosi anche un posto in nazionale ai Mondiali nippocoreani.
Il rientro, tuttavia, non è stato facile. C'erano le incognite della condizione fisica, un contratto nuovo da firmare, qualche dubbio del calciatore sulla gestione della società. Ciononostante c'era stato un momento in cui si era arrivati ad un passo dall'accordo, poi il «no» del chirurgo che lo aveva operato sembrava pregiudicare tutto. Ma Damiano non si è arreso. Ha messo da parte ogni discorso economico. Non era questione di soldi; dopo tanti sacrifici per rimettersi in sesto c'era solo la voglia di poter dire: ce l'ho fatta, a 31 anni e dopo un incidente grave posso continuare a giocare ad alto livello.
Ed eccolo, quindi, tirare dal cilindro la sua proposta: un contratto al minimo sindacale per un professionista di serie A; meno di 1.500 euro al mese per dieci mesi, fino alla fine del campionato. E così è stato. Soddisfatta la società (che non ha mai chiuso la porta ad un ritorno), contento lui (il suo secondo scudetto, l'ha definito sul suo sito internet) e contenti pure i tifosi, non sempre teneri nei suoi confronti.
Un gesto decisamente inconsueto, scomodo, quello di Damiano — forse anche destabilizzante per i colleghi — in un mondo in cui anche l'ultimo «panchinaro» guadagna qualche centinaia di migliaia di euro e in cui anche chi già intasca milioni chiede ritocchi esosi per prorogare i contratti. Certamente un gesto che fa riflettere, ma controcorrente solo fino a un certo punto. Perché Tommasi, agli occhi del grande pubblico sportivo, è sempre stato una sorta di mosca bianca, uno che compiva scelte poco convenzionali. Fin da quando optò per l'obiezioni di coscienza — primo calciatore professionista in Italia — invece del comodo «servizio di leva» nella compagnia atleti.
Damiano ha sempre pensato che ci sia una scala di valori da rispettare e che denaro e calcio non stazionino ai primi posti. Ci sono prima la fede, la famiglia, la solidarietà, l'amicizia. Lui ha sempre pensato che un calciatore famoso abbia una responsabilità educativa grande nei confronti dei giovani e su questo ha modellato i suoi comportamenti dentro e fuori dal campo, divenendo un esempio positivo anche per i colleghi, nonostante qualche sua uscita per loro sia risultata in qualche modo imbarazzante.
Forse qualche volta l'essere giudicato un pesce fuor d'acqua deve persino averlo infastidito, ma non si è mai tirato indietro. È stato sempre coerente con se stesso. Suo malgrado è divenuto la coscienza critica dei calcio italiano. Mai una risposta banale, mai un intervento sopra le righe, parole sempre pensate e misurate.
Tommasi, che ha prestato la sua immagine a numerose attività benefiche, facendosi egli stesso promotore di alcune iniziative appoggiate volentieri anche dalla società, continua a girare per le parrocchie per parlare ai giovani di solidarietà e dei valori dello sport, quello vero, pulito. Tuttavia non è mai salito in cattedra: «Rispondo semplicemente alle domande che mi fanno; dico solo ciò che penso», sottolinea a chi gli chiede conto di certe prese di posizione. Di fatto, più volte ha difeso il mondo del calcio, pur denunciandone le storture, impegnandosi a renderlo migliore.
Il nuovo allenatore della Roma lo ha voluto a tutti i costi, come uomo squadra, per il suo carisma, per la sua personalità, affinché fosse una guida soprattutto per i colleghi più giovani. Tommasi ora vuole dimostrare di essere utile anche in campo.
Ieri pomeriggio all'Olimpico si è rivista la sua maglia numero 17: i compagni l'avevano tenuta da parte per lui, in qualche modo auspicandone il ritorno. Bello e significativo il gesto di Panucci di cedergli la fascia da capitano, così come da brivido è stato il caloroso saluto tributatogli dai tifosi all'ingresso in campo: tutto lo stadio in piedi ad applaudirlo a lungo.
Quello giocato ieri da Damiano è stato solo uno scampolo di partita, ma tanto è bastato per portare uno sprazzo di arcobaleno tra le nubi minacciose — fatte di scandali e di polemiche infinite — che avvolgono da tempo il pallone nostrano. Impossibile dire se quest'anno Tommasi sia stato il migliore «acquisto» della Roma. Di sicuro lo è stato per il calcio italiano.
Bentornato Damiano.


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